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Percorso Acqua

Osservazione guidata in maniera interattiva della Piana da Piazzale Leonardo, visita all'acquedotto romano e ai lavatoi, esplorazione  del Parco della Piana

Piazzale Leonardo incastonato sulle pendici di Monte Morello è un balcone naturale e punto di osservazione privilegiato per godere del panorama spettacolare della Piana sestese.

Ma guardando quel paesaggio, chi avrebbe immaginato che la Toscana, milioni di anni fa, fosse quasi interamente sommersa dalle acque.

Torniamo indietro nel tempo, al Pliocene, quando queste terre erano ricoperte dal mare. L’Appennino, con la sua storia geologica antica, resisteva, ergendosi maestoso. Il mare pliocenico, con una profondità massima di 200 metri, aveva piccole isole che oggi sono i nostri monti e colline.

Avanzando nel Pleistocene, circa 1,8 milioni di anni fa, il corso d'acqua che oggi riconosciamo come Arno era uno dei tanti torrenti che scorrevano dai monti del Casentino e Pratomagno, sfociando in quel che ora è la Val di Chiana.

Ma la natura è mutevole: 600.000 anni fa, il mare iniziò il suo lento ritiro, dando spazio alla formazione di un vasto bacino lacustre nella Val di Chiana. Con il deposito di sedimenti, le acque si innalzarono, superando lo sbarramento all’altezza di Rignano e sfociando nella conca di Firenze.

Nella pianura che si estende tra Firenze, Prato e Pistoia si formò così un grande lago delimitato a ovest dal Monte Albano e dai rilievi collinari del Serravalle Pistoiese, a nord dai rilievi meridionali della montagna pistoiese, dai monti della Calvana e da Monte Morello, a est dalle colline che si elevano tra i comuni di Fiesole, Pontassieve e Bagno a Ripoli, a sud dalle prime colline del Chianti.

Questo ampio specchio d’acqua era circondato da montagne e colline, con l'Arno come suo principale alimentatore e un unico sfogo: la gola della Gonfolina nei pressi di Lastra a Signa. L’acqua, stagliata da una diga naturale alta circa 50 metri, rimaneva stagnante d’estate, ma in inverno si riversava nel mare vicino all'odierna Empoli.

Poi, circa 100.000 anni fa, i movimenti tettonici modificarono il paesaggio, riducendo il livello del lago e dando vita a una rigogliosa foresta planiziale mista di specie indigene come olmo, acero, frassino, pioppo, ontano, salice, con prevalenza di querce. La foresta era qua e là interrotta da paludi, da chiazze cespugliose o prative e attraversata dall’Arno.

E come non ricordare il periodo romano? La Piana di Sesto era un crocevia di vie, come la Via Cassia che passava la fascia pedecollinare sopra a Quinto (quinto miglio da Florentia) per continuare nella piana fino a Gonfienti (Prato) e Pistoia, dove viaggiatori e mercanti sostavano in osterie e locande.

Ecco, ora quando osserverete la Piana sestese da Piazzale Leonardo, ricorderete le storie millenarie che essa racchiude, testimonianze silenziose di un tempo che fu.

 

Scendendo dalle altezze di Piazzale Leonardo, la voce dell'acqua ci sussurra storie antiche. Nascoste tra la vegetazione, sorgono le vestigia dell'acquedotto romano, che un tempo attingeva l'acqua pura dalla Val di Marina per abbeverare la città di Firenze. Lo speco (specus), il condotto principale dell’acquedotto romano, costruito con una combinazione di pietre, schegge di pietra o di mattone, calce e malta, emerge nel cuore di Colonnata, all'interno del suggestivo "Parco degli Etruschi". Il parco, un vero polmone verde, si estende sopra la galleria sotterranea della ferrovia Firenze-Bologna, seguendo la riva sinistra del torrente Zambra, in un percorso che va da via Fratelli Rosselli a via Gramsci.

 

Il lavatoio di Colonnata a Villa Chiavacci, dove un tempo le mani laboriose delle donne sfregavano e risciacquavano i panni, è uno dei meglio conservati lavatoi fra  i tanti che erano diffusi nel territorio sestese. I lavatoi erano luoghi pubblici attrezzati per la lavatura dei panni. L’acqua che vi scorre prima di giungere sulle pietre del lavatoio, si concede un passaggio attraverso un piccolo abbeveratoio, questo rende speciale il lavatoio di Colonnata, un luogo che racconta di tradizioni, comunità e l'eterna bellezza dell'acqua.

 

L'acqua, in tutte le sue manifestazioni, è una vera e propria forza della natura. Non solo idrata, irriga e purifica, ma, quando abbraccia la forma solida del ghiaccio, assume il potere di conservare.

Usciamo fuori dagli itinerari battuti, oltrepassando i confini di Sesto Fiorentino per raggiungere Settimello, nel Comune di Calenzano. Qui, l'occhio viene catturato da una struttura unica e suggestiva: la ghiacciaia [foto], o come veniva chiamata anticamente, la “diacciaia”. Questo edificio industriale, affacciato sulla Strada Maestra di Barberino, è una testimonianza di come si conservava il ghiaccio. La Toscana ha visto nascere le ghiacciaie alla fine del Settecento e sono rimaste attive fino agli anni '30 del Novecento. Il ghiaccio, raccolto dalle montagne, depositato nelle neviere, acquistato e trasportato a valle con i barocci, veniva stoccato in queste ghiacciaie e utilizzato, specialmente nelle dimore signorili, per mantenere al fresco cibi e bevande durante le estati toscane, o per deliziare i palati con sorbetti e gelati.

La ghiacciaia di Settimello, circondata dal fascino storico della vicina villa seicentesca dei conti Gamba-Ghiselli, nasconde al suo interno una storia ricca. L'edificio, di cui la datazione è incerta ma riconducibile tra il 1821 e il 1850, presenta una struttura, detta pozzo, cilindrica scavata in profondità nel terreno e sovrastata da un tetto conico alto quasi 12 metri. Il suo interno si articola su due piani: il superiore era destinato al deposito e alla termo-isolazione, mentre il livello inferiore, cuore pulsante della struttura, custodiva i preziosi blocchi di ghiaccio. Questo santuario del fresco era accessibile attraverso una piccola porta comunicante con il piano terreno dell’edificio a pianta regolare adiacente che con ogni probabilità serviva per la lavorazione e lo smercio del ghiaccio.

Oltre la soglia della porta d’accesso si celava una scalinata (oggi scomparsa) che portava in fondo al pozzo, dove le volte in laterizio creavano un'atmosfera quasi magica. Un viaggio nella ghiacciaia di Settimello è un tuffo nel tempo, un modo per riscoprire le ingegnose soluzioni del passato e la continua evoluzione della nostra relazione con l'elemento più prezioso: l'acqua.

 

Rientriamo nel comune di Sesto Fiorentino per esplorare il Parco della Piana, un’oasi naturale nel cuore dell’area metropolitana di Firenze. Il Parco della Piana di Sesto Fiorentino chiamato anche Oasi della Querciola è un piccolo paradiso verde che si estende per circa 56 ettari in un’area fortemente antropizzata come è appunto tutta la piana Fiorentina, un fiore cresciuto fra l’asfalto.

Le acque tranquille dei due laghi principali, il Lago della Querciola e il Lago dei Cavalieri, riflettono la vita vibrante del parco. Questi specchi d'acqua sono particolarmente interessanti per la ricchezza e la varietà di avifauna. Immaginatevi, con una fotocamera in mano, la possibilità di catturare la maestosità di un Cavaliere d'Italia che nidifica in tranquillità o un ardeide intento alla pesca, tutto a portata di obiettivo, grazie ai strategicamente posizionati capanni di osservazione.

Se la vostra passione si rivolge verso i passeriformi, il parco non delude. Durante i freddi mesi invernali, capanni dedicati accolgono verdoni, frosoni, peppole, fringuelli e lucherini, tutti attratti dalle mangiatoie. Questi capanni sono l'ideale anche per chi è alle prime armi con la fotografia naturalistica, per chi ha ottiche relativamente corte perché si possono realizzare degli ottimi scatti anche con un 300 mm, addirittura con smartphone dotati di un’ottima fotocamera.

A poca distanza, il Lago di Peretola, situato vicino all'aeroporto Amerigo Vespucci (zona Peretola), si estende come un prolungamento del Parco della Piana. Un tempo destinato alla caccia, ospita una varietà di specie, compresi affascinanti fenicotteri in alcuni periodi dell'anno.

L'abbondanza della natura nel Parco della Piana è stupefacente: ben 176 specie di volatili, tra stanziali e migratori, tra cui tra cui l’airone cenerino, la garzetta, l’airone bianco maggiore, il tuffetto ed il corriere piccolo, e varie specie di anatidi e di limicoli; il cavaliere d’Italia (presente tra marzo e agosto) si danno appuntamento qui nel corso delle stagioni. Da non perdere, durante la primavera, sono le opportunità di fotografia macro: il parco si anima di insetti e aracnidi, mentre la flora circostante esplode in un carosello di colori.

Un invito, dunque, a scoprire e rispettare questo angolo di natura che, nel tumulto della metropoli, ci offre momenti di autentica pace e bellezza.

Ultimo aggiornamento

28.08.2024

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